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PHNOM PENH E IL LAGO CHE SCOMPARE - seconda parte

Aggiornamento: 1 mar 2018

Phnom Penh (Cambogia), 23 Gennaio 2010.

È ormai da qualche giorno che questa ordinata protesta dei residenti di Boeung Kak va avanti nel “Parco della Libertà” di Daun Penh, di fronte a qualche rara telecamera e a un paio di giornalisti annoiati. I circa cento manifestanti presenti alzano in alto il pugno e dei cartelli che rappresentano i ritratti del giovane re Sihamoni, di Sihanouk e della regina; sostengono a gran voce che accetteranno l’ordine di sfratto solo e soltanto se ogni metro quadro di suolo sarà pagato loro 1.500 dollari, tuttavia difficilmente le loro richieste saranno prese in considerazione.

«Nel 2002 una legge affermò che l’uso capione spettasse dopo soli cinque anni di occupazione del suolo, ma di recente il parlamento ha votato una nuova legge che non contempla più la precedente», mi spiega Laen, l’interprete di un documentarista irlandese che sta seguendo la vicenda del lago da quasi un anno. «E così le circa quattromila famiglie che vivono a Boeung Kak sono diventate improvvisamente abusive malgrado molta di quella gente vivesse in quelle abitazioni dal 1979, l’anno della ritirata dei Khmer Rossi dalla capitale».

I toni si sono fatti tesi, i manifestanti adesso urlano che sono pronti a resistere, a proteggere le loro case fino alla morte. Qualcuno dà addirittura fuoco a dei pupazzi di cartone che ritraggono il senatore del partito di maggioranza (CCP) Lao Meng Khin — il promotore della nuova legge sull’uso capione, la cui moglie è proprietaria della Shukaku Inc, l’azienda che sta effettuando i lavori di pompaggio delle acque e di consolidamento della superficie del lago — e del cinese Erdos Hong Jung della Erdos Hong Jun Investement che sta supportando finanziariamente le opere di bonifica di Boeung Kak.

«Ieri un reporter del The Phnom Penh Post, uno dei pochi giornali liberi del paese, è stato aggredito e minacciato da alcuni poliziotti e l’attrezzatura fotografica gli è stata sequestrata mentre stava documentando l’abbattimento di alcune abitazioni e lo sgombro forzato dei residenti. Io per non correre rischi ho accettato il conguaglio di 8.500 dollari; la mia casa è stata già abbattuta, malgrado ciò sto pensando lo stesso di abbandonare il lavoro da interprete. È troppo pericoloso: io sono cambogiano e non ho la protezione che hanno gli stranieri».

Il giorno seguente, tento una visita al lago, malgrado i divieti e le recinzioni. Costeggio ciò che rimane di alcune baracche, m’arrampico sulla cancellata che delimita la proprietà privata e in breve raggiungo alcune tende di plastica dove dormono i lavoratori dell’impresa che sta effettuando il prodigioso pompaggio delle acque del lago. Fingo di correre, di esser lì per dello sport, qualcuno mi imita scherzosamente, nessuno comunque protesta: in fondo sono un barang, uno straniero, e ciò in Cambogia, come sosteneva Laen, garantisce spesso un trattamento diverso.

Non mi ero mai reso conto di quanto Boeung Kak fosse vasto. Una lingua di brecciolino sulla sabbia fa da letto alla nuova arteria stradale, la R6, che collegherà, una volta ultimati i lavori, la nuova Global City alla stazione ferroviaria. Costeggio il deposito dei treni, soltanto quattro convogli di vagoni dismessi, ed un unico binario che si perde presto fra i liquami e le baracche di uno dei peggiori slam della città. Dei bambini nudi pedalano biciclette troppo grandi, altri giocano a pallone sulla piatta distesa di sabbia. Un monello nero di tre quatto anni mi sorride, forse capendo in realtà il significato di ciò che sta facendo, mentre gonfia un profilattico preso dai rifiuti come un palloncino.


Continuo a camminare sotto il sole lungo l’enorme condotto che sta pompando e scaricando via le acque. Quando finalmente raggiungo il centro di quello che un tempo era il lago della capitale la visuale è disorientante: un deserto di sabbia. Lontani, oltre il misero stagno rimasto, appaiono la moschea e le poche baracche degli ultimi irriducibili che non hanno ancora accettato la proposta di rimborso del governo. Dall’altra parte i nuovissimi enormi edifici del Consiglio dei Ministri e il grattacielo della Bank of China. Si stima attualmente fra i 3.000 e 4.000 dollari al metro quadro il prezzo della terra emersa magicamente dalle acque. Novanta ettari edificabili da vendere ai potenziali acquirenti. Se chiudo gli occhi mi sembra di vedere già il profilo della futuristica città pubblicizzata dai media cambogiani. Questo sarà il più grosso affare nella storia della capitale e nessuno riuscirà a impedirlo, una possibilità persa per migliorare davvero le condizioni di vita di parecchia gente.



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