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RAJ E I MIRACOLI

Aggiornamento: 5 mar 2018

I miracoli mi hanno sempre affascinato nella maniera in cui attentano alla normalità, allo status quo delle cose. I miracoli stanno alla logica un po’ come l’effetto placebo sta ai farmaci: riconoscono una forza sconosciuta capace di superare i limiti della conoscenza scientifica. A chi non piacerebbe vantare una qualche esperienza sovrannaturale? Quella che segue è la prodigiosa storia del mio amico Raj.


Kathmandu (Nepal), 13 Marzo 2011


Raj è un bramino con la pancia tonda da nono mese di gravidanza e i capelli ben tinti con la henna; ha una moglie dolcissima, due figlie e una situazione economica privilegiata. Quando mi capita di passare per Kathmandu la sua casa è sempre disponibile e accogliente. Di sera le conversazioni con Raj spesso tracimano dal salone fin sul tetto della palazzina che ha fatto costruire con il denaro che ha guadagnato lavorando negli Stati Uniti. Da lassù si contempla una vista mozzafiato della città e della valle fino alle montagne, ma a Kathmandu l’elettricità è disponibile solo poche ore al giorno e stanotte riusciamo a malapena a guardarci negli occhi. È l’atmosfera giusta, dice lui: l’aria è fresca e qualche lampo in lontananza promette pioggia.

Raj sostiene che il razionalismo sia in realtà una specie di ancora che impedisce alla fede di aprirsi completamente al divino. Ha visto parecchi giovani come me perdersi negli spazi estatici della meditazione, ma secondo lui quelli sarebbero solo fuochi d’artificio: senza fede alla fine non si andrebbe da nessuna parte. Per tale motivo vuole che io ora ascolti con attenzione la storia di come un giorno avvenne miracolosamente la sua conversione.

A vent’anni il suo collo aveva cominciato a piegarsi inspiegabilmente verso la spalla destra, senza che nessun medico potesse darne spiegazione. Raj diveniva sempre più deforme e le cure si rivelavano costose oltreché inutili. Soltanto gli antinfiammatori riuscivano a permettergli di riposare qualche ora, ma presto si ritrovò ad essere completamente dipendente dalla morfina.

Dopo quasi un anno di calvario, un celebre medico aveva visto nel suo strano caso una sorta di sfida personale. Raj si era trasferito presso un noto ospedale nel sud dell’India, ma anche quel luminare, dopo mesi di fisioterapia e cure di ogni genere, era stato costretto a gettare la spugna. Raj viveva in uno stato di apatia e cronica privazione dal sonno: aveva cominciato a vedere nel suicidio l’unica forma di liberazione, ma rimaneva un’ultimo tentativo.

In un villaggio non troppo distante dall’ospedale viveva un famosissimo guru di nome Sathya Sai Baba, capace di ogni sorta di miracoli. Raj era ateo e completamente insensibile a certi religiosi, su Sai Baba poi circolavano parecchie critiche, ma prima di togliersi la vita, decise quantomeno di provare.

Sai Baba è considerato da milioni di devoti un avatar, un Dio reincarnatosi sulla terra, il cui scopo sarebbe quello di ispirare e aiutare gli altri. Ogni giorno migliaia di malati, di moribondi, o di semplici pellegrini affollano il suo ashram in cerca di un contatto, di una parola, di un poco di quella cenere sacra, la vibhuti, che egli sembrava capace di materializzare magicamente dalla mano.

Raj s’accomodò in una pensione non troppo distante dall’ashram, visto che sapeva che ci sarebbero voluti giorni prima di un qualche ipotetico appuntamento con il santo. Considerato l’altissimo numero di visitatori la maggior parte dei malati e pellegrini si affidava a dei foglietti o a delle lettere scritte a mano a cui Sai Baba diceva di rispondere, senza leggerne il contenuto, soltanto con il potere ricettivo della sua mano.



Il giorno della sua prima udienza Raj riuscì a collocarsi piuttosto distante dalla scena. L’apparizione di Sai Baba fra due ali di folla fu rapida e improvvisa. Raj continuava a rimanere scettico, pentito addirittura per essere arrivato ad affidarsi ad un guru; e soprattutto era pieno di rabbia per l’ingiustizia della sua condizione. Tuttavia quel giorno restò colpito dalla devozione della folla presente. Malati e moribondi, in condizioni anche peggiori delle sue, mostravano una fede ed un abbandono commovente. Raj ne era quasi invidioso, non capiva, e così si ritrovò a pensare: “per favore Sai Baba, se sei veramente Dio come dici, mostrami la tua vera faccia!”.

Raj lasciò l’ashram senza aver ricevuto nemmeno uno sguardo da Sai Baba, tornò nella sua camera d’albergo e riuscì ad appisolarsi. Visto che aveva dimenticato di accostare la tenda, il feroce sole di mezzogiorno lo svegliò poco dopo. Si alzò e andò alla finestra per rimediare e lì qualcosa di inspiegabile accadde. Raj ha gli occhi umidi mentre rivive quel ricordo:

«Una luce irruppe nella stanza e in quel modo Sai Baba si materializzò magicamente davanti ai miei occhi! Egli mi disse: “Volevi vedere tutti i miei volti, eccoti accontentato!”. L'immagine di Sai Baba, come fosse composta da milioni di particelle, cominciò a cambiare velocemente forma. Mostrava una a una le centinaia di sembianze nelle quali noi induisti adoriamo la divinità. Che stupido, Dio era in ogni cosa! Crollai in ginocchio, terrorizzato da quelle visioni, e persi i sensi. Quando mi sollevai da terra i raggi del sole mi avevano quasi bruciato il volto. Nemmeno me ne accorsi, cominciai a piangere per la gioia: il collo era tornato dritto! ...Stavo bene... Il dolore era sparito! Guardai l’orologio e mi resi conto che avevo dormito, lì sul pavimento, per 48 ore».

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